Haiku
di Cristina Squarzoni
L’haiku è un componimento della poesia tradizionale giapponese che ha le sue origini intorno all’VIII secolo e raggiunge il suo massimo splendore tra il 1600 e il 1800. E’ un genere tuttora molto popolare. Dal Novecento ha conquistato anche l’Occidente. In tutto il mondo sono nati concorsi e associazioni.
Molti poeti europei e americani (Pound, Machado, Ungaretti, Ginsberg, Kerouac e tanti altri) ne sono stati suggestionati. Nelle nostre scuole si tengono corsi per avvicinare gli studenti alla scrittura creativa e al linguaggio poetico.
Ma cosa ha in comune con donne che dipingono acquerelli?
Se si va oltre le diversità evidenti di grammatiche, mondi e strutture mentali lontani e si segue la strada verso l’essenza della poesia, della pittura e del femminile, si possono scoprire molte affinità che sfuggono ad uno sguardo superficiale.
La struttura dell’haiku è semplice, l’effetto è spontaneo. Ma l’immediatezza di suoni, colori, umori è il prodotto di lunga ricerca, di studio, di faticosa rielaborazione, come nell’applicazione delle tecniche pittoriche e nella leggerezza che insegnava Calvino e come nella concretezza delle cose della vita quotidiana da sempre vicine al mondo femminile.
Nell’haiku non c’è logica razionale, ma intuizione estetica. Nella sua lettura non c’è l’intermediazione dell’interpretazione, ma la percezione istantanea di eventi concatenati che si fissano in un’immagine nella sua completezza, perché tante volte sono stati oggetto di attenzione, sofferenza, riflessioni.
La storia dell’haiku è evoluzione di spunti tematici parallela all’evoluzione delle cose umane. Anche l’insignificante (dalla lucciola alla pietra) è degno di interesse come parte della totalità della natura e del reale, perché sono piccoli aspetti degli eventi della vita (dalla nascita al mutare delle stagioni alla morte) che costituiscono anche la storia delle donne.
La poetessa Chiyo Jo (1701-1775) osserva la natura con atteggiamento apparentemente minimalista, ma si cala in una contemplazione di eventi fluidi che spostano l’attenzione molto al di là del dato paesaggistico.
Anche l’haiga, il genere pittorico affine all’haiku, congiunge il senso della profondità misteriosa con mille situazioni della realtà mondana come punte di iceberg emergenti che Andrea Zanzotto chiama spiragli, cuspidi del sommerso.
Nell’haiku non c’è nessuna descrizione, ma una marea di impressioni, colori, sensazioni tattili e uditive, trasfigurazioni di sublimità inaccessibili all’intelletto tradotte nell’immediatezza dell’attimo.
Il poeta ed il pittore giapponesi guardano le cose con lo spirito del Buddismo Zen, addestrando la mente al vuoto, quello della meditazione, senza interferire né spiegare né commentare, lasciando alla fine della lettura il silenzio, perché sia il lettore a completare nella sua intimità le emozioni raccolte.
Come gli impressionisti francesi lavoravano en plein air per cogliere tutte le variazioni della luce, il “pittore” di haiku coglie la natura in tutta la sua mutevolezza. Anche l’acquerello ha la fluidità e l’improvvisazione dei colori che si mescolano nell’immediatezza dell’attimo fuggente, tradotto in un’immagine o, meglio, in un’atmosfera che ricorda gli ideali estetici del poeta Basho (1644-1694): sabi e wabi. Il primo è il “colore del verso”, l’essenza di un’impressione quasi malinconica che nasce dall’esperienza diretta del rapporto uomo-natura. Il secondo è la capacità di cogliere l’intima bellezza delle cose semplici, la loro ricchezza spirituale.
Il poeta Buson (1716-1783) si è dedicato anche alla pittura che ha influenzato la sua arte poetica: nei suoi versi c’è il “colpo d’occhio” del pittore che ruba le immagini alla natura con armonia di composizione, sensibilità ed essenzialità.
Un ultimo parallelo emblematico: l’haiku è reso con un ideogramma scritto con la punta del pennello.
Pubblicazione della locandina Haiku
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