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La poetica dell’angolare
di Valentina Lapierre
Chi visita Ferrara, e forse ancor di più chi la abita, subisce il fascino che promana dalla bellezza della sua architettura, scalfita solo in parte dal tempo e dagli stravolgimenti operati dagli uomini. Lo stato di quiescenza che ha investito Ferrara, fin dai tempi della sua Devoluzione allo Stato Pontificio (1598), ha paradossalmente contribuito a preservare parte del sua integrità architettonica, custodendo preziosi elementi per chi li voglia cogliere.
L’occasione per guardare con rinnovato interesse all’essenza architettonica di Ferrara è stata offerta al gruppo Imparolarte dalla mostra “34 Finestre”, tenutasi nel novembre 2007 presso la Galleria del Carbone. Il lavoro di studio e di documentazione, finalizzato alla ricerca di immagini della finestra quale elemento polisemico ed evocativo, ha portato il gruppo a cogliere dettagli che solitamente restano inosservati. Sono emersi particolari che hanno suscitano in noi forte curiosità ed attenzione, dimostrandoci che anche quando si abita una città da sempre, non si coglie la ricchezza di tutti gli elementi che la compongono. E’ questo il caso degli angolari. Dietro a questo termine essenziale, e forse poco evocativo, si cela un microcosmo architettonico che costella gli angoli della nostra città e a cui il nostro sguardo distratto non fa quasi mai caso. Con questa parola vengono riassunti tutti quegli elementi architettonici posti alla base e all'angolo di due muri, che concorrono al sostegno ed alla salvaguardia dei muri stessi. L’angusta conformazione delle strade medioevali del castrum, portò a schermare gli angoli dei fabbricati, dai possibili urti delle ruote dei carri, con un semplice blocco di materiale lapideo, il “fittone” o “fitùn”, se vogliamo usare un’espressione dialettale ferrarese. Da questo primo elemento si giunse, dopo alcuni passaggi, a vere e proprie interpretazioni artistiche di alto livello.
In questa mostra desideriamo porgere al pubblico i frutti di un approccio estetico ed empatico con questi variegati tasselli, che fanno parte del nostro prezioso mosaico urbanistico. L’ausilio poi di una tecnica pittorica così “meditativa” come l’acquerello, ci ha consentito di indugiare sulla resa della materia secondo lo stile di ognuna, ma al tempo stesso guidate dalla volontà di illustrare a più voci, l’essenza di questo elemento architettonico prettamente ferrarese.
Attraverso le opere esposte vogliamo offrire un tramite nella comprensione dell’evoluzione storica dell’angolare, oltre a fornire uno spunto, per chi lo desideri, per guardare con occhi nuovi i particolari troppo spesso ignorati del contesto che ci circonda.
Se i primi angolari, improvvisati sull’onda della stretta necessità di preservare l’integrità dei fabbricati, sono consistiti in semplici paracarri giustapposti agli spigoli dei muri, col tempo questo elemento lapideo, facendosi squadrato, è stato inglobato dalla struttura muraria. Quindi seguendo un processo evolutivo teso ad un risultato ottimale, si passò prima all’inclusione di un pilastrino a conci lapidei, sfalsati dal filo della muratura, fino a giungere ad una serie di conci più o meno regolari, sempre a filo della muratura, poggianti su una base. Successivamente si scelse di posizionare nell’angolo del fabbricato una vera e propria colonnina; scelta fortemente indirizzata in senso decorativo e che diede spazio alla possibilità di inserirvi motivi decorativi araldici.
L’evoluzione dell’angolare seguì quindi quella urbanistica della città, così fin dalla prima Addizione, non fu più considerato solo in rapporto alla salvaguardia strutturale, ma accanto a questa valenza acquisì importanza anche il suo valore decorativo. La sensibilità maturata già alla fine del Quattrocento portò gli artefici del periodo Rinascimentale a reinterpretare artisticamente questo elemento, trasmutandolo in pilastrata, i cui esempi più illustri sono posti a guardia del “Quadrivio”, ovvero dell’intersezione di Corso Ercole I d’Este con Corso Biagio Rossetti. L’intitolazione di quest’ultima via al Rossetti è uno dei molteplici onori che sono stati voluti riconoscere a questa importante figura, la quale certo è da annoverare tra coloro che concorsero alla “trasfigurazione artistica” dell’angolare, ma che non fu certo l’unica. Le recenti ricerche degli studiosi, stanno infatti tentando di ridare forma a tutte quelle personalità che, avendo goduto di minor fortuna critica, ci risultano quasi sconosciute, ma il cui operato si rivelò determinante nella Storia dell’Architettura ferrarese.
Un’indagine puntuale sulla presenza degli angolari a Ferrara, ben 226 all’interno della cinta muraria, è stata eseguita da Giorgio Pollastri nel 1992. Egli dopo aver censito queste variegate presenze, ha messo a confronto le risultanze di tale indagine con l’opera descrittiva di Eugenio Righini, che analizzò lo stato del patrimonio architettonico ferrarese del primo decennio del Novecento. Dopo soli ottant’anni dei 163 angolari descritti dal Righini oggi ne sono andati perduti 21, non solo per i bombardamenti dell’ultimo conflitto bellico, ma anche per l’incuria e per le vendite scellerate che li hanno strappati dal loro contesto originale. Tuttavia a parziale compensazione di queste perdite, è stato evidenziato dal Pollastri, come al Righini siano “sfuggiti”, nei settori della città da lui indagati, 24 angolari, allora celati al di sotto dell’intonaco. Tale sorpresa può far dunque sperare che in occasione di futuri lavori di restauro possano riemergere nuovi esemplari.
Oggi purtroppo si può solo immaginare quale effetto gli angolari potessero sortire collocati nell’integrità del loro contesto originale. E’ stato più volte dimostrato come il topos di Ferrara, ammantata dal rosso dei mattoni a vista, sia solo una creazione ottocentesca e che, come ha notato per primo Ranieri Varese, sia stato piuttosto l’effetto di un progressivo stato di abbandono e di mancanza di manutenzione. Inoltre i vari lacerti policromi sulla facciata di Schifanoia, documentati da materiale fotografico della prima metà del Novecento, insieme alle varie attestazioni documentarie, circa la consuetudine ad affrescare le facciate delle case e dei palazzi, costituiscono testimonianze imprescindibili nella ricostruzione filologica dell’aspetto originale di Ferrara. Dobbiamo quindi immaginare i nostri angolari collocati in un contesto vivace in cui dominava una spiccata policromia. Un’idea assai prossima a tale aspetto può provenirci oltre che dalla facciata di Palazzo Paradiso, anche da due opere pittoriche, oggi attribuite a Sebastiano Serlio, e conservate presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara, raffiguranti due Vedute di città. Sulla vivace alternanza policroma delle pareti dei fabbricati raffigurati, spicca il chiarore degli elementi lapidei posti a sottolineare l’andamento dell’architettura.
La voce corale con la quale Imparolarte intende offrire all’attenzione del pubblico un elemento così poliedrico come l’angolare, è il frutto dell’incontro delle diverse sensibilità coinvolte in questo progetto, che si impegnano in un continuo confronto da cui traggono energia e reciproci spunti, secondo un obbiettivo di crescita condivisa.
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