È l’incessante divenire della vita che si dipana attraverso le opere di Nedda Bonini, nell’intreccio fra le dimensioni del quotidiano (le catenelle lavorate all’uncinetto viaggiando in corriera), dell’eccezionale (le stampe fotografiche del viaggio in Etiopia) e dello spirituale (la percezione del tempo nell’assemblare i tessuti della nonna). Opere che vanno lette come palinsesti antichi, con calma e con occhi attenti. Ogni filo una storia, una strada, tracce dorate come scie di magiche chiocciole.
Pur nella diversità dei temi, dall’omaggio allo scultore francese Auguste Rodin alla celebrazione gioiosa dell’Amore e della Natura, emergono delle costanti che attraversano tutta la produzione creativa dell’artista: uno è il concetto di stratificazione, strettamente legato agli effetti di trasparenza, alla visione in filigrana, all’affiorare di immagini che si svelano a poco a poco…. L’altra costante è la sperimentazione dei materiali, dalle tele, alle passamanerie, dalle ceramiche, ai fili con cui Nedda Bonini cuce con cura meticolosa ogni elemento dell’opera, evitando la facile scorciatoia dell’incollaggio. Se i procedimenti sono diventati sempre più protagonisti in un’epoca che dà ormai per scontato il concetto che “il medium è il messaggio” (Marshall McLuhan, 1964), il suo metodo assume la valenza di una meditazione, in quanto la fase progettuale si esaurisce presto in favore di una libera esplorazione delle caratteristiche espressive dei gesti e dei materiali, in cui ogni scelta condiziona in modo inaspettato quella successiva, rendendo il lavoro potenzialmente infinito.
Foglie, costellazioni, corpi, tutto può lasciare un’impronta che Nedda è capace di catturare e restituire al nostro sguardo, mediante velature carezzevoli, bordi sfrangiati e tonalità cromatiche delicatissime, come un discorso sussurrato a bassa voce, discreto e suadente, come non sentivamo da tempo immemorabile.
Lucia Bonazzi