Il fiore è una zantedeschia, al quale Paola Bonora ha dedicato una mostra nel 2004, ma il nome con il quale è più conosciuto è calla, che deriva dal greco kalos, bello. E allora credo che la scelta per questo fiore, oltre che motivata dalle sue qualità formali, contenga anche un’indicazione di poetica, ovvero, uno dei motivi per i quali si fa arte, ed è dichiaratamente in certo qual modo inattuale. Ma la calla è anche un fiore tossico, e forse pure questo ha il suo significato, come se ad avvicinarsi troppo alla bellezza si rischiasse una sorta di avvelenamento. Perlomeno di intossicazione, forse di “dipendenza”, dopo la quale niente può più essere come prima. Eppure arrivano da ogni parte, intabarrati, inimpermeabili, e nel solo modo possibile per vederla, cioè in volo, percorrendo l’aria rasoterra, vestendosi di quella leggerezza che è sostanza essenziale per avvicinarsi, e coglierne come api il nettare.